L’uomo senza contenuto

Recitiamo una bella commedia.
Gioco, io.
Ma a cosa gioco?
Ad essere.

uomo senza prove

L’UOMO SENZA CONTENUTO
Trittico dello Spaesamento
(3° quadro L’infanzia di un capo)

Ideazione, drammaturgia e regia Roberta Nicolai
Interpreti: Michele Baronio, Rosa Palasciano, Valerio Peroni, Enea Tomei, Arianna Veronesi.
Costumi e scene: Andrea Grassi
Disegno sonoro: Gianluca Stazi
Video designer: Adriano Mestichella
Assistente alla regia: Marco Di Nardo
Scenotecnica: Claudio Petrucci
Organizzazione: Elisa Vago
Distribuzione: Erica Pacchioni

Un melanconico circo esistenziale, in cui l’infanzia è dimensione prima e insuperabile.

Lucien, agito dagli attori in scena, frammentato in livelli di aderenza e di distacco, e in generi, maschio e femmina, gioca ad essere. Cresce: l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza appaiono in oggetti, dialoghi, comportamenti. Le emozioni, vergogna, paura, odio e amore, rimangono in un equilibrio perpetuamente rotto e perpetuamente ristabilito, sono vere e false al tempo stesso, sono menzogne che aspirano alla verità.
Tormentato dall’auto-osservazione e dal sentimento di impotenza, Lucien vuole vivere ma si avvolge su se stesso, in un’inquietante alternanza di sonnolenza e violenta appropriazione del mondo. Agisce e, al tempo stesso, guarda se stesso agire. Arriva a dubitare della stessa possibilità dell’esistenza e finisce per confondersi con la nebbia del paesaggio.
All’origine di tale spaesamento c’è una lacerazione: la perdita del dialogo con se stesso che finisce per coincidere con la perdita, storica, di un contesto di riferimento in cui riconoscersi.
Scaturito dalla trasparenza tra L’uomo senza contenuto di G. Agamben e Infanzia di un capo di J.P. Sartre, il terzo quadro del Trittico dello spaesamento, indaga l’identità dell’uomo contemporaneo, posta in dialogo con la storia personale, dall’infanzia alla maturità, cercando un affondo nello strappo da cui deriva il pensiero moderno.

L’azione teatrale, dal sottosuolo dei primi due quadri, risale sulla superficie del palcoscenico e si sospende in alternanza tra l’immedesimazione (play) e l’esplicitazione delle regole del gioco (game). La macchina del teatro è presente come dispositivo, fa entrare un esterno meccanico che invade la coscienza in forma di fondali, tiri, lanci. La presenza dell’attore vi contrappone il suo tentativo di verità, cerca di mentire il meno possibile.
Potrebbe essere una commedia. A tratti una farsa. Ma a seguire la processualità sfalsata, l’incoerenza dell’emotività, emerge un sottofondo dolente che delinea la vita come una commedia magica di impotenza.
Anche la drammaturgia è assunta come macchina scenica: frammenti testuali di Sartre forniscono la suggestione poetica per una scrittura onirica dai formati plurali, che finisce per intercettare lievi livelli parodistici. La leggerezza è la prospettiva da cui la stessa tragedia del vivere è guardata.

La domanda tenuta viva nel Trittico è: chi sono?
Profanazioni si blocca nell’inerzia. Da quel punto non si può andare avanti.
Nudità si arrende al dolore, a quel sospiro finale che è l’ultimo.
L’uomo senza contenuto entra nella lotta, nel paesaggio sfocato di un’identità senza paese.
Lucien ha solo il nome. Rigurgita slogan, attraversa contraddizioni e finisce per desiderare un’origine che è pura possibilità di esistenza, un’origine lontana, solo immaginata. Vive in scena una wunderkammer di fonti, in immagini, citazioni, avanguardie, controculture. È la nostra cultura, ormai sfocata, fatta di rimandi e sovrapposizioni, in cui i livelli, l’individuale e quello collettivo, si confondono e cambiano continuamente di segno.

trittico

Link:
tritticodellospaesamento.it

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