Profanazioni
Trittico dello Spaesamento
(1° quadro il minotauro)
Ideazione, drammaturgia e regia Roberta Nicolai
Interpreti Michele Baronio, Enea Tomei
Costumi e scene Andrea Grassi
Disegno sonoro Gianluca Stazi
Disegno luci Roberta Nicolai
Video a cura di Adriano Mestichella
In video Katia Caselli, Manuela Miscioscia
Scenotecnica Claudio Petrucci, Amoni Vacca
Sartoria Atelier Nove
Produzione: OFFicINa1011 triangolo scaleno teatro, Regione Lazio, Chantier TEMPS D’IMAGES 2010/Romaeuropa, in collaborazione con Residenza Teatro Misa_Comune di Arcevia Progetto Habitateatro AMAT e Teatro Furio Camillo_Roma
Durata 50’
Nell’impossibilità di tenere insieme il proprio passato e il proprio futuro, l’uomo contemporaneo vive un presente fatto di ombra, un presente sfuggente, inafferrabile. Costretto alla ritualità della ripetizione di gesti, si specchia, gioca con la sua immagine, si perde nel tempo sospeso del gioco e in quello accelerato della violenza senza che tutto questo riesca veramente a definirsi vita.
La percezione che ha di sé è parziale. Da una parte la piccola sponda del conosciuto. Al di là di quel limite, troppo vicino, l’abisso di ciò che non conosce, l’impersonale che abita dentro di lui. Procedere oltre il limite è affascinante e pericoloso, si può incontrare la propria storia. L’intimità con una zona di non-conoscenza è una pratica mistica quotidiana, in cui Io, in una sorta di speciale, gioioso esoterismo, assiste sorridendo al proprio sfacelo.(G. Agamben, Profanazioni)
Due attori in scena. Ognuno è nella condizione di isolamento dal mondo, separato, recluso nel labirinto, mappa mentale del singolo.
Sono due esseri eppure ripetizione, duplicazione di un unico essere. Nessuno dei due è l’originale, nessuno l’immagine. Entrambi motori dell’azione di riconoscimento del sé attraverso manie, gesti rituali, coincidenze. Ognuno motore di gioco, di regole, di scenari inventati.
Un essere unico e doppio. Un minotauro. Creatura ibrida, figura che “ci supera e ci eccede”, simbolo che sposta in uno scenario in cui può esprimersi “l’impersonale, il pre-individuale”, in cui la singolarità possa essere trascesa e sia possibile attraversare temi collettivi.
All’analisi di Agamben si sovrappone il mito. Da questa trasparenza di un testo sull’altro nasce il terreno nel quale mettere in scena, giocare sensazioni supreme: angoscia, esaltazione, orrore.
Da questa sovrapposizione viene delineato il labirinto, prigione che separa il mostro dall’uomo e dall’uomo lo protegge, nascondiglio infantile, casa, rifugio.
Su questa sovrapposizione viene plasmata la creatura divisa, separata. È uno, due e anche molti. Negata la presenza femminile, negata la natura, negata la vita. Il mondo, ridotto a immagini artificiali, non può essere usato. Rimane inesorabilmente lontano.
INFO: direzione@triangoloscalenoteatro.it
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